Opere
2023
Synchronized Serpent, (2021)
Nella danza tra i flutti si dispiegano tutte le infinite possibilità di movimento che i nostri corpi di terra ancora non contemplano, in una coreografia naturale liberatoria e indefinibile ma allo stesso tempo istintivamente comprensibile a tutti.
Per Cecilia Bengolea (Argentina) l’acqua — e soprattutto l’umidità — rappresentano l’ambiente naturale per la trasmissione di sensazioni, movimenti, emozioni e conoscenze ancestrali inspiegabili con le parole. Da anni esplora le isole del mondo attraverso il ballo, sua disciplina di formazione, e nelle isole dei Caraibi ha trovato le forme e le pratiche più vive del mondo, dove movimenti fluidi della colonna vertebrale attivano e trasmettono vibrazioni primordiali comuni a tutti i corpi fin da prima della nascita.
“Synchronized Serpent” nasce dalla collaborazione tra l’artista e la nazionale Giamaicana di nuoto sincronizzato, allenata dalla medaglia d’oro olimpica Olga Novokshchenova.
Landslides, (2020)
Attraverso l’archiviazione, totalmente fatta da autori non-locali, una danza marziale di coppia che preparava alla guerra è divenuto un ballo da souvenir. Spogliata dei suoi connotati più autentici e — per l’occhio straniero — controversi, sessuali e corporali, il Sega diviene strumento di intrattenimento e quindi di controllo delle espressioni culturali e delle fisicità locali attraverso un’economia turistica che promette ai mauriziani di far parte della modernità fin quando si impegnino a recitare la parte degli “esotici”.
Se davvero il Sega è andato perduto nelle sue origini e radici, allora si può solo rievocare come spettro; e nella narrazione spettrale di “Landslides” Caroline Deodat fa riverberare l’eco di una violenza lontana ma ancora strisciante, riuscendo ad evocarne la presenza con la forza dell’invisibile.
NoNoseKnows, (2015)
La bionda e bianca protagonista del film gira in sedia a rotelle attraverso i complessi residenziali vuoti della classe media cinese e alimenta con i suoi starnuti un esercito di lavoratrici asiatiche che senza pausa estraggono perle da migliaia di ostriche.
In un circolo continuo e incessante, un ciclo di produzione dopo l’altro, emerge l’assurdità del mondo del lavoro che, dopo decenni di realismo, si arrende di fronte al surrealismo di una realtà talmente strana da superare la finzione.
Primal Speech, (2016)
Un modo per farlo, secondo l’esperimento dell’artista e performer Liz Magic Laser (USA), potrebbe essere la terapia primale, quel tipo di psicoterapia in cui i pazienti affrontano il loro dolore interiore — specialmente i traumi infantili — in maniera istintiva piuttosto che con i ragionamenti e le parole.
Se è vero che nessun uomo è un’isola, è anche vero che la società è sempre più un arcipelago di solitudini. Ma un arcipelago può essere navigato, attraversato, conosciuto, cercando l’empatia attraverso punti in comune tra dolori solo apparentemente diversi tra loro. Il primo passo è liberarsi della zavorra.
Xenoi, (2016)
Panoramicamente, attraverso spiagge, grotte, paesaggi marini e fallimenti architettonici, Deborah Stratman mostra una serie di paesaggi privi di abitanti, prima di riempire inspiegabilmente ogni spazio drammaticamente con una miriade di oggetti generati dal computer, levitanti, a forma di diamante che brillano di luce e irradiano colore. Queste strutture, generate per conformarsi a una sorta di formula matematica, fanno oscillare la loro forma davanti a un pubblico di nessuno, insieme a una miriade di effetti sonori disorientanti e urlanti.
Xenoi, “gli stranieri”, attraverso l’astrazione riflette sul paradosso della condizione di chi si trova ad essere straniero su un’isola magari molto simile al suo luogo d’origine, costretto a conformarsi a concetti aridi e forzatamente universali che poco riflettono la complessità e la fluidità della realtà.
Deep Down Tidal, (2017)
Osservando l’infrastruttura di cavi in fibra ottica sottomarini che trasferiscono i nostri dati digitali, è sorprendente rendersi conto che i cavi sono stratificati su rotte marittime coloniali. Ancora una volta il fondo del mare diventa l’interfaccia di progressi dolorosi ma celebrati che mascherano le gesta violente della modernità.
“Deep Down Tidal” naviga nell’oceano come un cimitero per la conoscenza e le tecnologie delle civiltà africane. Da Atlantide alla tratta degli schiavi, o ai cercatori di rifugio che attualmente stanno annegando nel Mediterraneo, l’abisso oceanico trasporta storie perdute e discendenze interrotte, fornendo allo stesso tempo l’infrastruttura globale per le nostre attuali telecomunicazioni.
L’opera di Tabita Rezaire (Guyana Francese) scava nella forza dell’acqua come mezzo conduttore di comunicazioni. Dai cavi sottomarini alle città sommerse, corpi annegati, storie nascoste di navigazioni e trasmissioni di segnali sacri, l’oceano ospita un complesso insieme di reti di comunicazione.
Man mano che le moderne tecnologie dell’informazione e diventano onnipresenti nelle nostre realtà industrializzate, abbiamo urgente bisogno di comprendere le forze culturali, politiche e ambientali che le hanno plasmate.
A general state of loneliness, (2019)
Mangiare collettivamente un cibo, dividendolo in parti, rendendolo parte fondamentale di un rituale liturgico comune a decine di religioni nel mondo. Il cibo come momento condiviso in maniere diverse risponde alla necessità di non sentirsi isolati, di sentirsi parte di un qualcosa di più grande.
Ma cosa succede quando il cibo e il mangiare diventano feticcio e un’intera cultura si concentra in ripetuti ed ostentati momenti di consumo di pietanze? Che ruolo assume il cibo quando diventa religione identitaria?
In “A general state of loneliness” Giulia Crivellaro accosta immagini e suoni di realtà solo all’apparenza distanti, spolpando il concetto di tradizione per coglierlo nei suoi aspetti più paradossali e ironici.
Guided Tour of a Spill (CAPSInterlude), (2021)
Quel periodo fantastico durò poco, perché presto le guardie di frontiera trovarono un modo per bloccare i teletrasportanti a metà del loro viaggio, ed è allora che iniziarono i disastri. Nel secondo capitolo della sua trilogia “Life on the CAPS”, Meriem Bennani (Marocco, USA) ci porta a fare un tour di un’isola artificiale, Caps — abbreviativo di capsule, non di capitale. Caps è un’isola in mezzo all’Atlantico, creata dalla polizia di frontiera Americana, su cui vengono fatti atterrare i corpi interrotti dei migranti intercettati durante il teletrasporto. Frammentati, mutilati e trasformati, i migranti si trovano a creare una nuova civiltà temporanea ma sospesa in una potenziale eterna attesa.
Culture ibride, infrastrutture improvvisate e identità fuggitive si stratificano nella narrazione di Fiona, un coccodrillo parlante protagonista dell’unico marchio di cereali presente sull’isola. Umoristico, inventivo e folle, il lavoro di Bennani celebra tutto ciò che della vita è ingovernabile: fughe di dati e video virali; la circolazione di informazioni illegali tra le comunità delle diaspore; la voglia di fare festa anche negli ambienti più opprimenti.
“Guided tour of a spill (CAPS interlude)” è un nuovo tipo di fantasia di teletrasporto — non un sogno di viaggi facili — ma un tributo pop alle pratiche fuorilegge che trascendono anche gli spazi di reclusione più ostili.
Un Passage d’eau, (2014)
In una cittadina balneare, un istituto sanitario offre agli ospiti delle terme la possibilità di approfittare dei benefici del mare per ringiovanire, mentre negli ex stabilimenti balneari un misterioso gruppo di pensionati ha formato un circolo il cui scopo principale è quello di avere accesso alla vita eterna.
È un fatto scientifico che gli esseri umani sappiano di più sul sistema solare che sulle profondità marine. Ciononostante, la scienza e la pseudoscienza continua a trovare nel mare e nelle creature marine una speranza per migliorare — o talvolta soltanto allungare — la vita dei terrestri.
Sul filo dell’ignoto e dell’assurdo si svolge l’opera di Louise Hervé e Clovis Maillet,
“Un passage d’eau”, che affronta questioni di antropocentrismo e post-umanità ponendosi la domanda: il futuro dell’umanità giace sott’acqua?
One Thousand and One Attempts to Be an Ocean, (2021)
È letteralmente un bogiaísso di estetiche che girano come un vortice, senza respiro. Questo “catalogo dell’oceano” non intende produrre alcuna verità oggettiva, ma un momento di assorbimento e fascino. È un documentario su un’esperienza impossibile o un’esperienza dell’impossibile. Nel futile tentativo di contenere l’oceano a mani nude si esprime una delle emozioni più universali del nostro tempo: il desiderio di trovare un equilibrio nella vertigine che proviamo di fronte a infinite possibilità.
Can’t you feel the heat wave, darling?, (2022)
Nel suo lavoro convivono differenti piani di lettura. A un primo sguardo, è un lavoro che mostra con grande sintesi estetica l’indifferenza interiore nei confronti dei problemi evidenti del clima.
Andando più in profondità s’incontra la narrazione del bisogno di connessione umana anche in un contesto completamente avverso alla vita umana stessa. Nascono così due piani temporali paralleli e indipendenti: quello umano delle protagoniste impegnate in una cena a lume di candela su un gommone, e quello geologico dell’ambiente circostante. “Can’t you feel the heatwave darling?” è un’opera silenziosa ma rumorosissima, che si naviga con ironia sull’orlo del precipizio.
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