2022
ABBAS ZAHEDI
Me, Myself and A I I I (2017)
“Me, Myself & A I I I“ si basa sulla ricerca svolta presso il Padiglione della Diaspora, durante la Biennale di Venezia 2017 e raccoglie le narrazioni di MANNA: Machine-Aided Neural Networking of Affect. La sceneggiatura è stata generata con l’uso del codice di apprendimento automatico, che ha poi portato a sviluppare una colonna sonora utilizzando l’assistente vocale di Google, successivamente inserendola nelle immagini dell’archivio MANNA, un archivio visivo costruito nel corso del Diaspora Pavilion. L’opera tocca con ironia e randomicità paradossi esistenziali, scetticismi filosofici e assurdità tecnologiche che caratterizzano la quotidianità di Zahedi, come persona e come artista cresciuto navigando le zone più popolari di Londra.
MICHAEL FLIRI
Early one morning with time to waste (2007)
Nuotare e affrontare il mare con una barchetta fatta di bottiglie di plastica. L‘opera prende la forma di una pilotina a motore, l’immagine è quella di un bizzarro guscio galleggiante, realizzato con migliaia di bottiglie di plastica, che fungono da camere d’aria vitali per restare a galla. Non è solo una sfida alle leggi fisiche, alle forze della natura, alle convezioni; è soprattutto la storia di un’avventura in solitaria che non ha scopi né presunzioni, se non quelli di far accadere l’inimmaginabile, di trasformare in realtà un miraggio, di far diventare opera un mito.
DANIELE COSTA
Spazio Morto (2016)
«Papis, ragazzo sengalese, arrivato in Italia nel 2007, si stabilisce al Lido di Venezia, dove trova lavoro come bagnino di terra nello stabilimento balneare “Bagni Alberoni”. «Lo conosco da molto. Filmando la sua quotidiana routine mi sono accorto che dentro di lui si poteva benissimo identificare uno “spazio morto”, cioè la stasi, la quiete irreale e ferma che avvolge talvolta un immigrato sradicato dalla sua terra che si trova a dover lavorare in un Paese lontano dal suo»
(Daniele Costa)
GIOVANNA REPETTO
Atmosfera n.2 (Carlos, Augusto, Filipe, Joel, Leandro, Paulo, Matilde, Elisabete) (2021)
Il video parla della decontestualizzazione del paesaggio e di come l’immagine di esso assume forme diverse attraverso l’azione umana. Una compagnia portoghese trasporta porzioni di oceano verso le case di tutto il mondo. L’acqua di mare serve a migliorare la vita di pesci, piante acquatiche e coralli negli acquari, che di solito sono riempiti con acqua salata riprodotta artificialmente. Il video mette a confronto l’immagine latente del mare con la forma che l’acqua acquisisce nel momento in cui entra nei lunghi tubi verdi collegati alle pompe che la aspirano e che disegnano il percorso che porta dalle rocce portoghesi ai camion che trasporteranno l’acqua all’azienda.
ROBERTO FASSONE
Pas Seul (2021)
“Pas seul” è una coreografia surreale per uno o due schermi che mostra lo svolgersi di un viaggio psichedelico, attraverso quattro capitoli non lineari, ispirati da “Un Chien Andalou” (1929, Luis Buñuel e Salvador Dalì). Una frammentaria raccolta di idee accompagna il pubblico in un viaggio strano e personale: un tentativo di evasione, attraverso l’immaginazione, i sogni e le sostanze psichedeliche, da lockdown, isolamenti e paure. Immagini rubate, video di YouTube, filmati d’archivio, rendering 3D e testi in grassetto convivono in un ambiente caotico. Preparatevi ad un flusso continuo di foreste sottosopra, poesie di Yoko Ono, partite di tennis coloratissime, documentari flash, vampiri e cristalli.
VALENTINA FURIAN
Into Perpetual Night (2016)
“Into perpetual night” prende il nome dall’ultimo capitolo del libro “Half mile down”, scritto da William Beebe. Il biologo marino viene ricordato nella storia delle innovazioni scientifiche per essere stato il primo uomo ad arrivare ad una profondità marina di oltre 900 metri. Una voce fuori campo ci condurrà in un immaginario al limite tra realtà e finzione: un’immersione nei fondali marini diventerà così un viaggio in un mondo fantastico. “Into perpetual night” indaga il rapporto tra uomo e natura ed esplora la necessità umana della conservazione e della cura nei confronti di una natura plasmata per scopi scientifici e divulgativi.
GIORGIO ANDREOTTA CALÒ
Volver (2008)
Nel 2008, in occasione della sua prima mostra personale a Milano, Giorgio Andreotta Calò realizza la scultura “Volver”, generata da una performance documentata nel video in mostra a Bogiaisso. Nel suo barchino veneziano, Calò vola sospeso a una gru sui tetti del quartiere di Lambrate, per atterrare sulla terrazza della galleria Zero, dove la barca viene poi sezionata in due parti ed esposta su un piccolo specchio d’acqua.
SAM MESSER
Denis the pirate (2015)
Un uomo racconta la storia del suo trisavolo, il Pirata Denis, e della sua scimmia aiutante, Babe Ruth, con la quale terrorizzò le isole dei Caraibi. 1.700 incisioni originali sono state filmate per dare vita a una fantastica avventura in mare, scritta da Denis Johnson (1949–2017), amico di lunga data dell’artista. L’epica avventura dell’omonimo pirata è stata girata in stop-motion con opere su carta, risultando in una qualità bizzarra e antiquata, punteggiata dalla mano controllata e caotica tipica dell’artista. La storia è narrata in modo vivido dall’attore Liev Schreiber e accompagnata da una colonna sonora composta dai musicisti Sarah Neufeld (Arcade Fire) e Colin Stetson. “Ho scritto questa storia per la mia figlioccia Josephine Messer molti anni fa, mentre stavamo visitando l’isola di Bequia nel paese di St. Vincent e Grenadine. Aveva circa cinque anni all’epoca, e speravo che le disavventure del mio trisnonno l’avrebbero divertita. Ho cambiato la location per adattarla a ciò che ci circonda, ma sotto ogni altro aspetto i dettagli della sgradevole carriera del mio antenato sono assolutamente accurati”.
(Denis Johnson 2003).
MICHELA DE MATTEI
The World Part I MIRAGE (2020)
“The World Part I: MIRAGE (2020)” è un video che mette in scena lo scioglimento sotto il mare di un cammello di 250 kg scolpito nel ghiaccio. Come un miraggio o un’allucinazione subacquea, la creatura aliena si dissolve nell’acqua attraverso un gioco di rifrazioni ottiche e lo stato mutevole della materia liquida. Girato sulla costa di Fujairah e nelle lussuose case sottomarine Sea Horse dell’arcipelago World Islands di Dubai - dove l’acqua scarseggia e le sculture di ghiaccio sono un capriccio costoso e di moda - il video riflette sul rapporto tra lusso e meraviglia. Spostando la prospettiva e immergendo lo spettatore sott’acqua, mette in discussione la convenzionale rappresentazione frontale dello “spettacolo della natura”, offuscando la distinzione tra terrestre e acquatico; artificiale e naturale, finzione e realtà, alla ricerca di una visione privata, uno spazio per l’immaginazione.
VASHISH SOOBAH
Mandir Capitolo II (2022)
“Mandir Capitolo II” è un documentario che racconta un’idea di casa e di luogo di appartenenza attraverso l’esperienza biografica dell’artista. Due registri si alternano all’interno del lavoro: il primo si sviluppa attorno voci, interviste e testimonianze di persone più o meno vicine all’artista, dai propri parenti a persone incontrate in spazi pubblici a Mauritius. Il secondo racconto, che si intreccia con il primo, ha una natura più metaforica e utilizza l’immagine della canna da zucchero e del suo viaggio, dai giardini dell’isola dell’oceano Indiano fino ad un vaso sul balcone dell’appartamento dell’artista in Italia.
SHIRAZ BAYJOO & SHIVANJANI LAL
Nadi (2021)
“Nadi”, che significa “fiume”, è un’opera collaborativa di Shiraz Bayjoo e Shivanjani Lal. Girato sul fiume Meghna in Bangladesh e montato a Londra, con audio tradotto e letto dalle loro madri: Arzmand Bayjoo e Shakuntala Lal, in creolo mauriziano e hindi delle Fiji. Nadi è un luogo sia di partenza che di ritorno per questi artisti, poiché esplora le loro storie condivise di indenture, linguaggio come luogo di resilienza e movimento dei corpi sia nel passato che nel presente.
Testo della poesia
(traduzione in Inglese di Shiraz Bayjoo)
Distance is a language the heart doesn’t understand.
True story,
A white man,
In charge of the movement of colonial bodies Chose what he believed were quiet and passive people,
Passive people, who had long known the worlds envy
Their resistance weary,
His decision made easier.
He did not want to deal with uprisings. Instead he created another type of violence, one that was expressed upon the colonial bodies that moved
These bodies are the bodies of my great grandmothers and great grandfathers
My ancestors
Girmityas, signers of agreements,
Bodies that tended fields unable to return home
In my body there is both silence, that stems from this colonial trauma,
and the unmaking of that silence through language.
My mother tongue was formed by colonial violence,
Udhar, is the land my ancestors were removed from.
Udhar, is the land in which I was born in. Udhar, over there is where I live now.
When you look at an image of a landscape it is easy to be observational.
To not scratch below the surface.
To not seek the political and historical reasons why some bodies were moved and others got to stay.
To get distracted by an ocean or a beautiful river curving its way through a landscape.
When I look at the land, I am reminded of the complexity of displacement.
Of my fracture
I am a ghost,
a daughter,
and a son,
A spectre of separation
For me this is a land
I will always be bound to a vision of what once was,
And what has passed,
I think of our colonised bodies,
In these wretched landscapes,
With this shared record of community, how do we press upon new pathways
I look to the new lunar,
Haldi turns the ocean from blue to green, three oceans meet
I walk along the shore line
Water is the longest separation.
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