Cinema d’arte all’aperto



Selezione di opere internazionali in collaborazione con la comunità della pesca di Chioggia.


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Bogiaisso in dialetto chioggiotto significa ‘vortice, il punto dove l’acqua ribolle’.

Dal 2022, durante il fermo pesca, Bogiaisso è un momento in cui guardarsi allo specchio e scoprirsi riflessi in sensibilità, terre e acque vicine e lontane, grazie ad una selezione di opere video profondamente in dialogo con l’esperienza di vita locale.

Bogiaisso è anche un viaggio di immaginazione collettiva lungo 12 mesi, dove pescatori, artisti e curatori si incontrano in bar e trattorie per interrogare l’arte e utilizzarla per re-immaginare criticamente il presente.

Tutto questo è possibile grazie al supporto di un comitato scientifico composto da oltre 20 curatorx ed espertx d’arte che ogni anno rinforzano i legami tra l’arte contemporanea e la laguna.

bogiaisso@gmail.com
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English Version




Quarta Edizione


25—28 
Agosto 
2025

Dalle ore
21:00
Cortile
di Palazzo
Grassi

Chioggia (VE)

Ingresso
Gratuito
Accesso da Riva Canal Vena.

Posti a sedere gratuiti fino ad esaurimento.


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Patrocinata da:



Come
Arrivare
 
Da Padova:
Autobus Busitalia E005

Biglietti via BusItalia Veneto App o in tabaccheria

Da Venezia:
Autobus 80 da Piazzale Roma
Autobus 85 da Areoporto Marco Polo

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ACTV Linea 11 da Lido & Pellestrina | Orari oppure app CheBateo

Biglietti da biglietterie ACTV

Da Milano, Roma, Napoli etc:
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Parcheggio:
Park Unione (Silos)
oppure in strada su strisce blu con colonnina parchimetro oppure Mooneygo


Dove
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Dove
Dormire

Dal 24/08 al 30/08,fino ad esaurimento posti. Info e prenotazioni via email.

16 euro a notte per 4+ notti
18 euro a notte per 3 notti o meno


Altre rassegne
video 
in zona

Cinema Galleggiante Venezia

Biennale Cinema


Si ringrazia 
per il sostegno

Associazione Musica Chioggia

Università di Padova — Dipartimento di Biologia

Associazione “Il Merletto di Chioggia”

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Ferr-Casa  Ferramenta

Bar Sassetto

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Albanese Cicli

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Bar Pasticceria Flora

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Perini Nautica

Bar Pasticceria Ceolin

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M.P. Suberbo

M.P. Jolly

M.P. Bruno & Augusta Zennaro

M.P. Normalbino

M.P. Furia C.

M.P. Enrico V.

M.P. Michael


M.P. Annalaura

e Gianmarco Rescigno per le meravigliose foto.



Last Updated 24.10.31

Opere

2023

2023


CECILIA BENGOLEA
Synchronized Serpent, (2021)
Creature ibride, metà di terra e metà d’acqua, si muovono all’unisono nel Mar dei Caraibi, davanti alla baia di Alligator Head in Giamaica. Dal loro movimento sgorgano altre figure, plasmate dalla fluidità stessa dell’acqua. Le figure e lo sfondo danzano in armonia.

Nella danza tra i flutti si dispiegano tutte le infinite possibilità di movimento che i nostri corpi di terra ancora non contemplano, in una coreografia naturale liberatoria e indefinibile ma allo stesso tempo istintivamente comprensibile a tutti.

Per Cecilia Bengolea (Argentina) l’acqua — e soprattutto l’umidità — rappresentano l’ambiente naturale per la trasmissione di sensazioni, movimenti, emozioni e conoscenze ancestrali inspiegabili con le parole. Da anni esplora le isole del mondo attraverso il ballo, sua disciplina di formazione, e nelle isole dei Caraibi  ha trovato le forme e le pratiche più vive del mondo, dove movimenti fluidi della colonna vertebrale attivano e trasmettono vibrazioni primordiali comuni a tutti i corpi fin da prima della nascita.

“Synchronized Serpent”
nasce dalla collaborazione tra l’artista e la nazionale Giamaicana di nuoto sincronizzato, allenata dalla medaglia d’oro olimpica Olga Novokshchenova.



CAROLINE DEODAT
Landslides, (2020)
Nell’isola di Mauritius, in un tempo indefinito tra il crepuscolo e l’alba, un danzatore si muove misteriosamente attraverso luoghi e paesaggi carichi  di significati e mitologie. Le sue movenze sono quelle di una danza fantasma, o meglio, di una danza con un fantasma: il fantasma del Sega, arte mauriziana tipica delle popolazioni nere schiavizzate che univa poesia, musica e danza e che  da alcuni decenni è rimasta solo come rappresentazione turistica.

Attraverso l’archiviazione, totalmente fatta da autori  non-locali, una danza marziale di coppia che preparava alla guerra è divenuto un ballo da souvenir. Spogliata dei suoi connotati più autentici e — per l’occhio straniero — controversi, sessuali e corporali, il Sega diviene strumento di intrattenimento e quindi di controllo delle espressioni culturali e delle fisicità locali attraverso un’economia turistica che promette ai mauriziani di far parte della modernità fin quando si impegnino a recitare la parte degli “esotici”.

Se davvero il Sega è andato perduto nelle sue origini e radici, allora si può solo rievocare come spettro; e nella narrazione spettrale di “Landslides” Caroline Deodat fa riverberare l’eco di una violenza lontana ma ancora strisciante, riuscendo ad evocarne la presenza con la forza dell’invisibile.




MIKA ROTTENBERG
NoNoseKnows, (2015)
Partendo dall’industria delle perle, i complessi residenziali vuoti della Cina post-boom e i gesti  della quotidianità che, osservati dal di fuori, appaiono sempre assurdi, Mika Rottenberg introduce la sua opera come un “diagramma del nostro mondo che si restringe”.

La bionda e bianca protagonista del film gira in sedia  a rotelle attraverso i complessi residenziali vuoti della classe media cinese e alimenta con i suoi starnuti un esercito di lavoratrici asiatiche che senza pausa estraggono perle da migliaia di ostriche.

In un circolo continuo e incessante, un ciclo di produzione dopo l’altro, emerge l’assurdità del mondo del lavoro che, dopo decenni di realismo, si arrende di fronte al surrealismo di una realtà talmente strana da superare la finzione.




LIZ MAGIC LASER
Primal Speech, (2016)
I mezzi di comunicazione e soprattutto il linguaggio della politica hanno permeato ogni ambito della vita  e della società, creando delle vere e proprie isole mentali dalle quali è molto difficile uscire, affondando nel fango mentale della nevrosi.

Un modo per farlo, secondo l’esperimento dell’artista  e performer Liz Magic Laser (USA), potrebbe essere  la terapia primale, quel tipo di psicoterapia  in cui i pazienti affrontano il loro dolore interiore — specialmente i traumi infantili  — in maniera istintiva piuttosto che con i ragionamenti e le parole.

Se è vero che nessun uomo è un’isola, è anche vero che la società è sempre più un arcipelago di solitudini. Ma un arcipelago può essere navigato, attraversato, conosciuto, cercando l’empatia attraverso punti in comune tra dolori solo apparentemente diversi tra loro. Il primo passo è liberarsi della zavorra.




DEBORAH STRATMAN
Xenoi, (2016)
L’isola greca di Siro è visitata da una serie di ospiti inattesi. Forme immutabili, fuori dal tempo,  distaccate osservatrici della nostra condizione umana. Solidi platonici che appaiono in brevi distorsioni  della percezione visiva e sonora.

Panoramicamente, attraverso spiagge, grotte, paesaggi marini e fallimenti architettonici, Deborah Stratman mostra una serie di paesaggi privi di abitanti, prima  di riempire inspiegabilmente ogni spazio drammaticamente con una miriade di oggetti generati dal computer, levitanti, a forma di diamante che brillano di luce e irradiano colore. Queste strutture, generate per conformarsi a una sorta di formula matematica, fanno oscillare la loro forma davanti a un pubblico di nessuno, insieme a una miriade di effetti sonori disorientanti e urlanti.

Xenoi, “gli stranieri”, attraverso l’astrazione riflette  sul paradosso della condizione di chi si trova  ad essere straniero su un’isola magari molto simile al suo luogo d’origine, costretto a conformarsi a concetti aridi e forzatamente universali che poco riflettono la complessità e la fluidità della realtà.




TABITA REZAIRE
Deep Down Tidal, (2017)
Se l’acqua potesse parlare, quali segreti potrebbe rivelare?

Osservando l’infrastruttura di cavi in fibra ottica sottomarini che trasferiscono i nostri dati digitali, è sorprendente rendersi conto che i cavi sono stratificati su rotte marittime coloniali. Ancora una volta il fondo del mare diventa l’interfaccia di progressi dolorosi ma celebrati che mascherano le gesta violente  della modernità.

“Deep Down Tidal” naviga nell’oceano come un cimitero per la conoscenza e le tecnologie delle civiltà africane. Da Atlantide alla tratta degli schiavi, o ai cercatori di rifugio che attualmente stanno annegando nel Mediterraneo, l’abisso oceanico trasporta storie perdute e discendenze interrotte, fornendo allo stesso tempo l’infrastruttura globale per le nostre attuali telecomunicazioni.

L’opera di Tabita Rezaire (Guyana Francese) scava nella forza dell’acqua come mezzo conduttore  di comunicazioni. Dai cavi sottomarini alle città sommerse, corpi annegati, storie nascoste di navigazioni e trasmissioni di segnali sacri, l’oceano ospita un complesso insieme di reti di comunicazione.

Man mano che le moderne tecnologie dell’informazione e diventano onnipresenti nelle nostre realtà industrializzate, abbiamo urgente bisogno  di comprendere le forze culturali, politiche e ambientali che le hanno plasmate.




GIULIA CRIVELLARO
A general state of loneliness, (2019)
Mangiare del cibo in completa solitudine, davanti  a una telecamera, guardati da persone altrettanto isolate nei loro schermi a kilometri di distanza.

Mangiare collettivamente un cibo, dividendolo in parti, rendendolo parte fondamentale di un rituale liturgico comune a decine di religioni nel mondo. Il cibo come momento condiviso in maniere diverse risponde alla necessità di non sentirsi isolati,  di sentirsi parte di un qualcosa di più grande.

Ma cosa succede quando il cibo e il mangiare diventano feticcio e un’intera cultura si concentra  in ripetuti ed ostentati momenti di consumo di pietanze? Che ruolo assume il cibo quando diventa religione identitaria?

In “A general state of loneliness” Giulia Crivellaro accosta immagini e suoni di realtà solo all’apparenza distanti, spolpando il concetto di tradizione per coglierlo nei suoi aspetti più paradossali e ironici.




MERIEM BENNANI
Guided Tour of a Spill (CAPSInterlude), (2021)
Vi ricordate quando fu inventato il teletrasporto e tutte le persone che sognavano di lasciare il proprio Paese iniziarono a proiettarsi da un capo all’altro della Terra?

Quel periodo fantastico durò poco, perché presto  le guardie di frontiera trovarono un modo per bloccare i teletrasportanti a metà del loro viaggio, ed è allora che iniziarono i disastri. Nel secondo capitolo della sua trilogia “Life on the CAPS”, Meriem Bennani (Marocco, USA) ci porta  a fare un tour di un’isola artificiale, Caps — abbreviativo di capsule, non di capitale. Caps è un’isola in mezzo all’Atlantico, creata dalla polizia di frontiera Americana, su cui vengono fatti atterrare i corpi interrotti dei migranti intercettati durante il teletrasporto. Frammentati, mutilati e trasformati, i migranti  si trovano a creare una nuova civiltà temporanea ma sospesa in una potenziale eterna attesa.

Culture ibride, infrastrutture improvvisate e identità fuggitive si stratificano nella narrazione di Fiona, un coccodrillo parlante protagonista dell’unico marchio di cereali presente sull’isola. Umoristico, inventivo e folle, il lavoro di Bennani celebra tutto ciò che della vita è ingovernabile: fughe di dati e video virali; la circolazione di informazioni illegali tra le comunità delle diaspore; la voglia di fare festa anche negli ambienti più opprimenti.

“Guided tour of a spill (CAPS interlude)” è un nuovo tipo di fantasia di teletrasporto — non un sogno di viaggi facili — ma un tributo pop alle pratiche fuorilegge che trascendono anche gli spazi di reclusione più ostili.





LOUISE HERVÉ & CLOVIS MAILLET
Un Passage d’eau, (2014)
Al largo di una località balneare, un gruppo di archeologi dilettanti si tuffa nei siti di antichi naufragi, cercando di preservare le loro scoperte  dalle devastazioni del mare e del tempo.

In una cittadina balneare, un istituto sanitario offre  agli ospiti delle terme la possibilità di approfittare dei benefici del mare per ringiovanire, mentre negli ex stabilimenti balneari un misterioso gruppo di pensionati ha formato un circolo il cui scopo principale è quello di avere accesso alla vita eterna.

È un fatto scientifico che gli esseri umani sappiano  di più sul sistema solare che sulle profondità marine. Ciononostante, la scienza e la pseudoscienza continua a trovare nel mare e nelle creature marine una speranza per migliorare — o talvolta soltanto allungare — la vita dei terrestri.

Sul filo dell’ignoto e dell’assurdo si svolge l’opera  di Louise Hervé e Clovis Maillet,
“Un passage d’eau”, che affronta questioni di antropocentrismo e post-umanità ponendosi la domanda: il futuro dell’umanità giace sott’acqua?




YUYAN WANG
One Thousand and One Attempts to Be an Ocean, (2021)
Nell’opera di Yuyan Wang, il cui titolo tradotto è “Mille e uno tentativi di diventare un oceano”, convivono disturbo e soddisfazione in una sequenza inarrestabile in cui le immagini e le parole si infrangono l’una dentro l’altra, frantumandosi, mescolandosi, trasformandosi in qualcosa che sparisce non appena pensi di essere riuscito ad afferrarla.

È letteralmente un bogiaísso di estetiche che girano come un vortice, senza respiro. Questo “catalogo dell’oceano” non intende produrre alcuna verità oggettiva, ma un momento di assorbimento e fascino. È un documentario su un’esperienza impossibile o un’esperienza dell’impossibile. Nel futile tentativo di contenere l’oceano a mani  nude si esprime una delle emozioni più universali  del nostro tempo: il desiderio di trovare un equilibrio nella vertigine che proviamo di fronte a infinite possibilità.




JUDITH  NEUNHÄUSERER
Can’t you feel the heat wave, darling?, (2022)
L’opera di Judith Neuenhäuserer arriva direttamente  dal Circolo Polare Artico, dove ogni giorno isole  di ghiaccio nascono e muoiono sotto il sole e sotto l’effetto del clima in costante cambiamento.

Nel suo lavoro convivono differenti piani di lettura. A un primo sguardo, è un lavoro che mostra con grande sintesi estetica l’indifferenza interiore nei confronti dei problemi evidenti del clima.

Andando più in profondità s’incontra la narrazione  del bisogno di connessione umana anche in un contesto completamente avverso alla vita umana stessa. Nascono così due piani temporali paralleli e indipendenti: quello umano delle protagoniste impegnate in una cena a lume di candela su un gommone, e quello geologico dell’ambiente circostante. “Can’t you feel the heatwave darling?” è un’opera silenziosa ma rumorosissima, che si naviga con ironia sull’orlo del precipizio.


© Un’iniziativa di BOGIAISSO APS — Associazione senza fini di lucro.P.IVA 04825630272, registrazione RUNTS n.130157.


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